Riti e pratiche sociali
Allegro funerale
Il Carnevale morto a Montorio al Vomano
Diavoli e frati, vedova e amanti, figli e becchini, guidati da un istrionico arciprete, accompagnano il defunto Carnevale nel suo ultimo viaggio per le vie del paese. Dopo una bizzarra veglia, bianco in viso e con un fiore teso fra le gambe, fra lamenti e schiamazzi, al suono ironico o solenne della banda, il Carnevale morto è trasportato in corteo funebre adagiato nella bara. All’improvviso si alza sul busto, fa le corna al cielo e torna a stendersi sui drappi del feretro, stringendo fra le mani un rosario e un ferro di cavallo. Nella piazza centrale, fra il dileggio comico di improvvisati attori radunati lungo il cammino processionale, si consumano le grottesche esequie che ne celebrano la definitiva morte simbolica.
Manifesto funebre, febbraio 2018
Il Carnevale morto di Montorio al Vomano, popoloso paese posto in una zona collinare nei pressi del fiume Vomano, alle porte della montagna, è un’azione rituale che celebra la fine del Carnevale – e la sua morte resa in forma satirica – il Mercoledì delle Ceneri, già dentro il tempo di Quaresima. La comunità partecipa alla cerimonia funebre, aperta dalla veglia e conclusa dalle esequie solenni sopra un palco allestito nella piazza principale del centro storico, interpretata da persone del posto e oggi costruita come azione scenica coordinata da un direttore artistico e attore: Vincenzo Macedone.
La vedova disperata, l’arciprete e la banda scandiscono le tappe del rituale; nella bara il Carnevale morto è incarnato da una persona reale, oggetto di scherno e di dialoghi derisori improvvisati al momento, ancorati a un canovaccio e ai fatti accaduti durante l’anno ma liberamente espressi e organizzati da chi partecipa alla rappresentazione.
Esito di una lunga evoluzione iniziata nella seconda metà del Cinquecento, con l’affermarsi della Riforma e della Controriforma e il capillare tentativo di abolire, contenere o modificare alcune drammatizzazioni e forme festive particolarmente licenziose e sovversive, i rituali che celebrano la morte del Carnevale in Europa sono ben attestati tuttora, come dimostrano le ricerche estensive condotte dall’antropologo Giovanni Kezich e dalla sua équipe nell’ultimo decennio. Processi, condanne a morte e funerali, pantomime funebri e fantocci bruciati si riscontrano diffusamente anche in Italia, e seguono ovunque i grandi festeggiamenti e i balli dei canonici giorni della domenica, del lunedì e del Martedì Grasso.
A Reggello, nel Valdarno, a Marroneto, nel grossetano, ad Amalfi, nel golfo di Salerno, il Carnevale morto era o è incarnato da una persona scelta fra gli abitanti del paese, secondo un modello onnipresente nelle regioni centro-meridionali della Penisola. E non erano infrequenti le sostituzioni rituali fra l’interprete in carne e ossa e il fantoccio di stracci e paglia, operate nel corso delle condanne e dei funerali simbolici al momento dell’esecuzione della sentenza. A Intermesoli, nell’Alto Vomano poco distante, Carnevale era impersonato da un paesano, processato e condannato, ingozzato di cibo fino a sentirsi male, quindi sostituito da un pupazzo e bruciato.
Le origini del rituale montoriese, secondo le incerte testimonianze trasmesse in loco, sono collocate negli anni Venti del Novecento, quando un gruppo di universitari del posto iscritti all’Università di Napoli avrebbe innestato la tradizione dopo averla osservata in qualche paese della Campania, in opposizione al regime fascista che dopo pochi anni la proibì. Il Carnevale morto, impersonato da un fantoccio, era trasportato nella bara per il paese; al termine del corteo veniva buttato nel fiume Vomano, nei pressi della chiesetta della Madonna del Ponte. Non è chiaro quando il simulacro sia stato sostituito da una persona vivente, o se i due elementi, come frequentemente attestato altrove, fossero compresenti e sia nel tempo caduta in disuso solo la consuetudine di utilizzare il fantoccio.
La drammatizzazione funebre mette in scena la denuncia sociale e la disarticolazione ritualizzata delle autorità costituite e delle convenzioni sociali. Al termine della serata, tornato al luogo di partenza, il corteo viene sciolto; il Carnevale è dichiarato sepolto e la Quaresima, nei panni della sopravvissuta vedova, sancisce di fatto il suo trionfo introducendo la comunità nel tempo pasquale della rinuncia e dell’astensione.
I suoni del corteo funebre
Montorio al Vomano (TE), 14 febbraio 2018. Registrazione di Marta Iannetti, Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
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Allegro funerale
Carnevale morto in piazza Orsini
Foto di Flavio Paolini, Montorio al Vomano (TE), 1975 ca., Archivio Fotografico Montoriese.


Allegro funerale
Turturillë
Foto di Sergio Rossi, Montorio al Vomano (TE), 1988, Archivio Fotografico Montoriese.


Allegro funerale
Preparativi
Foto di Stefano Saverioni, Montorio al Vomano (TE), 14 febbraio 2018, Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.


Allegro funerale
Nella bara
Foto di Stefano Saverioni, Montorio al Vomano (TE), 14 febbraio 2018, Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.


Allegro funerale
I portatori
Foto di Stefano Saverioni, Montorio al Vomano (TE), 14 febbraio 2018, Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
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La deposizione
Montorio al Vomano (TE), 14 febbraio 2018. Riprese di Stefano Saverioni, Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
Il Carnevale morto è organizzato dalla Pro-loco, che ha affiancato negli anni l’Associazione ProCarnevale, protagonista del recupero del Carnevale montoriese a partire dal 1988 dopo tredici anni di interruzione. Quest’opera di ripristino e poi di potenziamento avvenne grazie all’impegno di alcune persone – fra tutte Gianni Celli e Alfredo Tertulliani, detto “Turturillë” –, che si fecero carico dell’organizzazione della parata di carri allegorici e dello stesso corteo del Carnevale morto. La pratica della processione satirica ha incontrato nel tempo ostilità e azioni legali, principali cause della stessa sospensione avvenuta del 1975, quando alcuni montoriesi portarono a Teramo il Carnevale morto subendo in seguito un processo per vilipendio alla religione di Stato.
Le denunce si erano susseguite anche in paese nei decenni precedenti, tanto da causare a fasi alterne l’abolizione delle satire in dialetto e in rima con le quali i protagonisti esponevano di volta in volta in forma burlesca vicende della comunità, prendendo di mira persone e avvenimenti dell’anno trascorso. Dai primi anni del nuovo secolo l’attore teatrale montoriese Vincenzo Macedone è il direttore artistico dell’intera manifestazione, protagonista della processione del Carnevale morto nei panni dell’arciprete e coordinatore di tutto lo svolgimento del corteo satirico.
Il corteo è stato anche oggetto di catalogazione ministeriale su tracciato BDI (Beni Demoetnoantropologici Immateriali), promossa dalla Regione Abruzzo e condotta dall’antropologa Lia Giancristofaro nel 2010.
La processione del Carnevale morto, pur nella continuità di molti elementi strutturali significativi e nel coinvolgimento che anima ogni anno promotori e comunità, ha ceduto nel tempo alcuni tratti importanti all’oblio, come l’uso del fantoccio, o la più viva dinamicità della scena satirica, oggi prevalentemente circoscritta alla celebrazione delle esequie burlesche sopra un palco collocato in piazza, vincolata all’utilizzo dei microfoni. La spontaneità delle improvvisazioni resta tuttavia immutata e talora favorita dalla presenza di attori come lo stesso Macedone, che ne governa con abilità lo svolgimento, e sembra essere una qualità particolarmente radicata e trasmessa nella popolazione montoriese e in alcuni suoi protagonisti.