Riti e pratiche sociali
“Passo e sto”
Il gioco dello Stù a Montorio al Vomano
Di antiche origini, sopravvissuto solo in alcune zone d’Europa, il gioco del Cucù, conosciuto a Montorio al Vomano con il nome di Stù, coinvolge l’intero paese in appassionanti tornei e partite nel periodo natalizio, nelle case e nei bar, nelle taverne e nei ristoranti, tra scherni, scherzi e risate, in tavolate numerose e circondate di persone. Le carte girano e si scambiano, si bloccano o tornano indietro in base alle figure e alle loro concatenazioni. Una smazzata dopo l’altra, i giocatori decrescono fino al duello finale, che decreterà il vincitore del tavolo e della partita.
“Quando si vuol giuocare al sopradetto giuoco, tutti quelli, che vogliono giuocare pongono in piatto quella Moneta, che si stabilisce, e prende ciascheduno un determinato numero di segni, che resta accordato. Poi si ripigliano tutte le sopradette carte, e se ne dà una per cadauno, ed ognuno de’ Giuocatori deve cambiare col vicino, mentre non abbia qualche impedimento, una sol volta nell’istesso giuoco, come nel giuoco di andare a passare alla staffetta”.
Raffaello Bisteghi, 1753
Il nome dialettale di Stù in uso a Montorio al Vomano deriva probabilmente da “sto”, parola utilizzata nella dinamica del gioco in opposizione a “passo”, quando si decide di mantenere la propria carta invece che provare a sostituirla col vicino.
Nelle sue varianti note in Abruzzo è pertanto un gioco di cambio e non di presa (Montorio al Vomano e Campli, dov’è invece chiamato Cucù o Ttuffë), il cui mazzo è composto da quaranta carte, diviso in carte numerate e figurate ripetute due volte. Le figure sono organizzate in due “schieramenti”, al di sotto o al di sopra delle dieci carte numerate, che rappresentano i valori intermedi: le prime cinque dal valore minimo crescente, incluso il Matto che è carta negativa ma dal valore variabile; le ultime cinque, con diverse figure dette “trionfi” che impongono azioni o pegni diretti a chi le incontra.
Secondo Nicolino Farina, che al gioco ha dedicato un circostanziato studio, il Cucù era in origine praticato con dadi, tasselli e altri simili oggetti, individuando un antecedente diretto in una incisione del XVII secolo appartenente a un fondo di manoscritti gesuitici conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Si tratta di un foglio raffigurante diciannove tondi con le identiche rappresentazioni numeriche e figurali del Cucù, che venivano tagliati e posti sotto le pedine. L’evoluzione verso il vero e proprio mazzo di carte sarebbe avvenuta in Italia, in area emiliana, diffondendosi poi rapidamente in tutta Europa a partire dal Cinquecento, fino a conoscere la massima espansione in epoca settecentesca.
Negli Statuti di Bologna del 1245-1267 si cita un gioco chiamato Gnaffus, che richiama nel nome l’attuale carta Gnaf dello Stù montoriese; a Bologna compare anche, nel 1717, il regolamento più antico del gioco del Cucco a noi conosciuto, come risultano presenti diverse tipologie di mazzi di carte nel corso dell’Ottocento. È suggestivo inoltre ipotizzare una similitudine tra Cucù e i giochi di Trionfi, detti delle “Venti figure”, riscontrati a Napoli insieme ai Tarocchi e al Malcontento tra il 1585 e il 1586, quando vengono annoverati tra i giochi popolari con ambivalente funzione divinatoria, come suggerisce lo studioso Giuseppe Ierace.
Farina ipotizza l’introduzione del gioco in area teramana tra il Seicento e il Settecento, a Campli ad opera dei Farnese e a Montorio dei Conti Carafa, famiglia molto influente della corte napoletana. Particolarmente noto nell’Italia Settentrionale e nel Nord Europa, il gioco era conosciuto, oltre a Bologna, anche a Milano e, più in generale, in Lombardia, in Piemonte e in direzione di Venezia, forse a Roma e in Toscana, mentre a Bari era certamente attivo all’inizio del XX secolo un cartaro che ne stampava esemplari. Ne troviamo poi tracce significative in Spagna (Cuco), in Catalogna e nelle Baleari (Cuc), in Francia (Coucocu), in Belgio, in Olanda (Koekoek); come mazzo di trentotto carte il Cucco è diventato in Baviera e in Austria il gioco della strega (Hexenspiel), o dell’uccello (Vogelspiel, mentre in Svezia, nel 1741, se ne riscontra una denominazione italiana: Cambio (per “scambio”), in seguito detto Kille; in Danimarca era Gniao o Gnav, e così fu esportato in Norvegia, diffuso infine anche in Finlandia (Kucku). In alcune zone d’Europa, come le isole danesi Fionia e Sjælland, o nello Zeeland olandese, il gioco è tuttora praticato in una variante con le pedine, e, sempre più di rado, è ancora in uso in Scandinavia e in alcune valli bergamasche.
Il primo mazziere, scelto mediante estrazione di carta, mescola il mazzo, lo fa tagliare alla sua sinistra e distribuisce la carta in senso antiorario al primo giocatore alla sua destra, attenendone la decisione. Se il giocatore ritiene di mantenere la carta dice “sto”, se pensa di passarla dice “passo”, e viene a quel punto distribuita la carta al giocatore successivo, che prenderà a sua volta una decisione. Quando il giocatore precedente ha scelto di passare, il successivo dovrà forzosamente scambiare la sua carta, a meno che non possegga un “trionfo”, una carta di valore superiore o uguale a undici.
Gioco di metafore sociali e simboliche, è descritto efficacemente da Saverio Franchi – che allo Stù di Montorio e al più vasto gioco del Cucù ha dedicato un saggio – come la rappresentazione della società umana (la tavola dei giocatori), dei ruoli sociali e delle sorti (la propria carta), della possibilità di cambiare entrambi migliorando o peggiorando il proprio destino (il cambio carta), avendo però come limite lo scontro con i potenti (i “trionfi”, le carte figurate più alte) e il rischio di precipitare nella sventura (le figure basse) o nell’imprevedibile (i Matti) da cui è comunque bene stare alla larga ma che, in casi eccezionali, può addirittura salvare e premiare (due Matti che restano vincono), o avere il potere di trascinare con sé e far “perdere una vita” anche signore del gioco, al gufo coronato che domina le tenebre e le incertezze, alla carta più alta: il Cucù.
Metafora della vita
Montorio al Vomano (TE), 15 febbraio 2018. Registrazione di Marta Iannetti,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
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“Passo e sto”
Il Matto
Foto di Stefano Saverioni,
Montorio al Vomano (TE), 6 gennaio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.


“Passo e sto”
La finale
Foto di Stefano Saverioni,
Montorio al Vomano (TE), 6 gennaio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.


“Passo e sto”
Le carte
Foto di Stefano Saverioni,
Montorio al Vomano (TE), 14 febbraio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.


“Passo e sto”
La scelta
Foto di Stefano Saverioni,
Montorio al Vomano (TE), 6 gennaio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.


“Passo e sto”
“Lettura”
Foto di Stefano Saverioni,
Montorio al Vomano (TE), 6 gennaio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
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La partita
Montorio al Vomano (TE), 15 febbraio 2018. Riprese di Stefano Saverioni, Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
Il “Grande torneo di Stù”, che si tiene ogni anno nel periodo di Natale, è portato avanti da un decennio dall’Associazione Culturale “Il Colle e il Solleone”. La manifestazione, nata con la volontà di promuovere e valorizzare il gioco all’interno della stessa comunità montoriese, favorendo così anche la sua trasmissione e la partecipazione delle giovani generazioni, coinvolge il capoluogo e numerose frazioni nel corso della fase di qualificazione, che si estende nell’arco temporale di circa un mese. Si tratta di un’iniziativa di grande e crescente successo, che riunisce centinaia di persone fra giocatori e pubblico, sempre presente in gran numero ad assistere alle concitate partite, e alla cui istituzione si deve la salvaguardia del gioco e degli stessi strumenti necessari a portarlo avanti: le carte. Alcuni anni fa infatti, l’unica ditta italiana che le realizzava, aveva deciso di interromperne la produzione a causa dell’esiguo numero di compratori; l’impegno montoriese a garantirne una continuità di acquisto attraverso l’Associazione Culturale “XV del Presidente”, che allora si occupava dell’organizzazione dei primi tornei, ha permesso la ripresa della stampa delle carte garantendo un futuro allo Stù. Negli stessi anni, in funzione del torneo, fu codificato un regolamento, trascrivendo le norme del gioco sino ad allora trasmesse oralmente attraverso la pratica; la prima regola ne sintetizza il senso, e pone in evidenza il valore che assume per la comunità che vi partecipa: “Lo scopo del gioco è di divertirsi insieme agli amici nell’atmosfera ilare e gioiosa che si viene a creare”. Le somme raccolte durante il torneo, inoltre, sono ogni anno devolute in beneficenza.
Al gioco dello Stù è dedicata anche una mostra permanente dell’artista Mauro Capitani, collocata nei locali dell’ex-convento soprastanti il Chiostro degli Zoccolanti, così come negli anni sono state realizzate ricerche e pubblicazioni che approfondiscono la storia e la simbologia sottostante l’originale gioco, fra cui vanno ricordate quella di Saverio Franchi del 1991 e la successiva, ad opera di Nicolino Farina e dedicata in particolare alle versioni camplese e montoriese del Cucù, edita nel 1997.
Il gioco dello Stù ha rappresentato negli ultimi anni la Regione Abruzzo al “Tocatì”, il Festival Internazionale dei Giochi di Strada di Verona; la stessa associazione che cura l’organizzazione del Festival ha pubblicato nel 2015 un volume sui giochi tradizionali d’Italia, includendo nel libro alcune pagine e immagini di descrizione e analisi del gioco montoriese.
Un sito dedicato allo Stù, in continuo aggiornamento e ricco di materiali e documenti, ne racconta la storia e le evoluzioni attuali. http://www.stuinpiazza.it.