Espressioni orali e linguistiche

Rondinelle rondilà

I canti di lavoro agricolo ad Arsita

Nelle valli orientali del Gran Sasso gli stornelli sono intonati in modi diversi e secondo differenti melodie, le cosiddette arie. Si possono cantare per il ballo o per i lavori dei campi, accompagnando gli strumenti e i ritmi della danza o i faticosi movimenti sotto il sole primaverile ed estivo, le piogge e i primi freddi dell’autunno. Fra grano e lino, fra granoturco, uva e olive, le squadre di uomini e donne del secolo scorso esprimevano con gli stornelli le emozioni e i sentimenti in prima persona, in una sequenza concatenata di versi e di strofe scaturita dall’interazione fra i contadini-cantori e dal loro desiderio di comunicare, dall’alba fino al tramonto: “e ora scende il sole, rondinelle rondilà, dove si va a posare, rondinelle rondilà”.

“Questo è il canto di quando si puliva il grano, si toglievano tutte le erbacce, perché adesso si mette il diserbante invece una volta non esisteva, e allora si doveva estirpare tutto con le mani; il mese di maggio, in mezzo a tutto questo grano alto, faceva caldo, c’era una grande fatica, e si faceva un canto proprio per questa mondatura del grano”.
Adele Di Marcoberardino, 22 ottobre 1998

Nella comunità di Arsita, paese dell’Alta Valle del Fino non lontano dal Monte Camicia, le squadre di donne e di uomini cantavano durante i lavori in campagna, compiuti in buona parte a mano o con l’aiuto della sola trazione animale prima della meccanizzazione dell’agricoltura. Nel momento della fatica il canto era strumento di dialogo, di tensione e distensione delle relazioni sociali, serviva ad alleviare lo sforzo e a rendere meno pesante il lavoro, anche grazie all’andamento impresso ai movimenti del corpo dalle articolazioni ritmiche delle canzoni eseguite.

I repertori di canto legati al lavoro agricolo sono quelli di più antica sedimentazione e di maggiore persistenza nella memoria delle persone, sebbene non siano più in funzione da almeno un quarantennio. E sono anche i canti che presentano i tratti musicali più arcaici, fra quelli tuttora diffusi e ricordati presso le comunità rurali dell’Appennino centrale.

Il ciclo agricolo annuale prevedeva una scandita successione di lavori in campagna: iniziavano a primavera, con la mondatura del grano, e proseguivano a luglio, con la mietitura, poi con la lavorazione del lino, quindi a settembre con la spannocchiatura del granoturco e la vendemmia, a novembre e dicembre con la raccolta delle olive. “Tutte queste occasioni – riferisce l’etnomusicologo Marco Magistrali, che se ne è lungamente occupato – portano con sé un modo specifico per cantare gli stornelli, addirittura diversificato nella struttura melodica per contrade o famiglie; la stagione di ogni lavoro è caratterizzata nella memoria dei più anziani da una precisa modalità di canto e viceversa”.

Nel territorio di Arsita le arie per la mondatura del grano erano eseguite mentre si estirpavano a mano le piante infestanti nei caldi mesi primaverili, secondo due modi prevalenti: a stornelli in endecasillabo, o in settenari-ottonari organizzati in strofe e ritornelli, caratterizzati da una forma iterativa intonata in alternanza fra i cantori. In occasione della lavorazione del lino invece, dopo la fase di raccolta e di macerazione nell’acqua del fiume e di prima rottura dell’involucro legnoso dello stelo al cosiddetto trocchë, la successiva fase di rifinitura alla macinnë era accompagnata dal canto, sostenuto dal battere ritmico e cadenzato dello strumento di lavoro.

Gli stornelli elaborati sulle arie da lavoro nascono dunque per essere cantati all’aperto, a voce stesa, e si intonano con una emissione vocale particolarmente forte e sforzata, che fa largo utilizzo delle risonanze della testa e delle cavità facciali. “Saper cantare li sturnillë, chiamati anche canzunë, – sostiene Magistrali – significa non solo conoscerne tanti e usarli al momento giusto ma anche saper modulare la voce arricchendo lo schema musicale modale con fioriture d’abbellimento e allungare gli appoggi della melodia spingendo la voce lontano”.

Canto per la mondatura del grano

Adele Di Marcoberardino, Quintina Lanari, voci.
Arsita (TE), 4 ottobre 1996. Registrazione di Marco Magistrali, Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.

Ascolta il brano

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Rondinelle rondilà
Lavinia Zecchini
La contadina arsitana Lavinia Zecchini, interprete di un vasto repertorio di canti di lavoro agricolo.

Foto di Marco Magistrali,
Arsita (TE), 1996,
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.
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Rondinelle rondilà
Lavinia Zecchini canta
Lavinia Zecchini durante la festa di “Valfino al canto” interpreta un canto per la lavorazione del lino al microfono di Marco Magistrali.

Fotogramma da video di Lino Icaro,
Arsita (TE), 10 agosto 1997,
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.
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Rondinelle rondilà
Le donne di Arsita
Un gruppo di donne di Arsita, accompagnate da alcune anziane di Montebello di Bertona (PE) durante la festa di “Valfino al canto”, mentre intona dei canti di lavoro agricolo.

Foto di Paolo Boni,
Arsita (TE), 10 agosto 1997,
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.
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Rondinelle rondilà
Annina e Carmela
Annina Di Bernardo e Carmela Rubini intonano un canto di lavoro durante la festa di “Valfino al Canto”

Foto di Paolo Boni,
Arsita (TE), 10 agosto 1997
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.
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Rondinelle rondilà
Donne di Montebello
Un gruppo di anziane donne di Montebello di Bertona (PE) mentre intona un canto di lavoro agricolo durante la festa di “Valfino al canto”.

Foto di Paolo Boni,
Arsita (TE), 10 agosto 1997
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.

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Sturnillë alla mieiturë

Lavinia Zecchini e Adele Di Marcoberardino intonano alcuni stornelli di mietitura durante la festa di Valfino al Canto.
Arsita (TE), 10 agosto 2005. Riprese di Davide Pirri, Archivio Associazione Altofino.

Trasmissione e salvaguardia

Essendo radicalmente cambiate nel corso della seconda metà del Novecento le modalità del lavoro agricolo e dunque anche della specifica socialità che ne era alla base, questi canti non vengono più praticati né imparati dalle generazioni più giovani. Si tratta di un repertorio praticato in passato soprattutto dalla popolazione femminile, che ha contribuito di recente, nell’ambito di progetti di ricerca pluriennali finanziati dalla Regione Abruzzo e sostenuti in loco dal Comune di Arsita, dall’Associazione Altofino e dalla Pro-loco di Arsita, a mantenere viva la memoria con sessioni di registrazione e la partecipazione a numerosi incontri e manifestazioni.

Le ricerche, condotte dagli etnomusicologi Marco Magistrali e Carlo Di Silvestre, hanno portato alla pubblicazione di documenti sonori in CD, alla creazione della festa di Valfino al Canto (co-diretta dal 2003 al 2013 assieme all’antropologo Gianfranco Spitilli) – alla quale le stesse anziane interpreti hanno più volte preso parte –, all’organizzazione di laboratori scolastici e di seminari.

Nel 2007 sono stati creati dei “Percorsi d’ascolto” coordinati dall’Associazione Altofino attraverso fondi europei e la partecipazione del GAL Appennino Teramano, in un allestimento curato da Marco Magistrali, Filippo Marranci e Gianfranco Spitilli che faceva largo uso di documenti sonori inediti relativi al repertorio dei canti del lavoro agricolo, ai quali furono dedicati un percorso autonomo e una postazione di ascolto tematica.

Adele e Lilla Di Marcoberardino, Carmela Rubini, Quintina Lanari, Donatina Ciafardone, Maria Icaro, Annina Di Bernardo, Lavinia Zecchini, oggi quasi tutte scomparse, hanno così permesso almeno in parte di trasmettere la ricchezza del loro repertorio, prestandosi anche a reinterpretarlo occasionalmente assieme a più giovani cantori provenienti da contesti esterni al paese di Arsita.

Fra i tanti canti conosciuti ed eseguiti in passato anche in campagna, particolarmente noto è diventato Jë vulessë ca scessë la lunë, un canto di ambito prettamente rituale e legato al repertorio paraliturgico della Settimana Santa ma da sempre interpretato nell’Alto Fino anche al di fuori del suo contesto naturale, in funzione narrativa e secondo la forma propria del repertorio polivocale del lavoro agricolo: quella in cui due linee melodiche, lu addë e lu bbassë, si allungano nelle finali di ogni verso sospendendo la pulsazione ritmica data dalle sillabe, creando così un suggestivo e prolungato impasto sonoro.

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