“È stata la mia passione sin da piccolo, mio padre mi ha sempre detto di imparare il mestiere, e allora io l’ho sempre ascoltato, di conseguenza mi ritrovo adesso ancora insieme a mio padre a portare avanti questo lavoro. Lo ritengo veramente un lavoro molto bello, anzi, lo ritengo anche molto nobile, per il paese, per quello che gli antenati ci hanno lasciato”.
Antonio Di Simone, 28 Gennaio 2018
Posto ai piedi del Monte Camicia, a 500 metri di altitudine, Castelli è un piccolo borgo noto nel mondo per la sua raffinata produzione ceramica. Secondo l’opinione di molti studiosi tale attività ebbe inizio ad opera dei monaci dell’Abbazia benedettina di San Salvatore intorno al XII secolo, ubicata a monte dell’attuale abitato, con la promozione delle prime produzioni di vasellame di uso comune grazie all’utilizzo dell’argilla locale, di cui è ricco il territorio circostante. L’abbondanza di ulteriori materie prime necessarie alla produzione, come la legna di faggio per la cottura e i giacimenti di minerali e di silice per la realizzazione degli smalti, favorì lo sviluppo delle botteghe artigiane e il progressivo affinamento delle tecniche e degli stili decorativi.
Castelli cominciò ad affermarsi a partire dal Cinquecento con i Pompei, raggiungendo una grande notorietà nel Seicento e nel Settecento, quando iniziarono a operare i grandi maestri decoratori delle dinastie dei Grue e dei Gentile, con l’affermazione dello stile “compendiario” e la realizzazione del soffitto devozionale della chiesa di San Donato del 1615-17, considerato un momento di svolta della ceramica castellana, seguito dal passaggio allo stile “istoriato”, contrassegnato dalla rappresentazione di scene allegoriche e mitologiche. Tra la fine del Settecento e il primo ventennio dell’Ottocento, infine, grazie all’evoluzione stilistica sperimentata dai Fuina, si concretizzano l’abbandono del paesaggio barocco di fattura aulica e il pieno sviluppo di un gusto influenzato dalla porcellana, animato dall’innesto di nuovi colori, come il verde brillante e il rosso cardinale.
La decorazione ceramica castellana è infatti tradizionalmente basata sulle combinazioni di una pentacromia, la cosiddetta “tavolozza castellana”, formata dal blu cobalto, dal giallo antimonio, dal verde ramina, dal manganese e dall’arancio “Castelli”. “Con cinque colori devi fare tutto”, spiega Antonio Di Simone, tra i pochi ceramisti ancora attivi nel centro storico e protagonista, assieme al padre Vincenzo, del recupero di un’antica bottega maiolicara e del mantenimento di tecniche produttive fondate sui metodi e i materiali ereditati dal passato, sulla conoscenza delle materie prime e della loro combinazione.
Vincenzo Di Simone è un esperto ceramista, cresciuto assieme ai vecchi maestri artigiani, apprendendo nelle botteghe la pratica di mestiere; abile foggiatore e formatore, produce da sempre in proprio gli smalti e i colori, con i quali il figlio Antonio realizza le sue decorazioni. “I colori manuali danno un risultato maggiore, più caldo”, sostiene Antonio Di Simone, che sin da piccolo ha respirato in famiglia l’arte della produzione ceramica, osservando e ascoltando il padre lavorare.
Antonio si considera un autodidatta, anche se nei primi mesi di lavoro in bottega ha beneficiato dell’esperta guida di un maestro decoratore, Romeo Di Egidio, dal quale ha appreso le tecniche fondamentali e anche alcuni “segreti” del mestiere, legati alla buona riuscita di particolari decori della tradizione castellana.
Mentre racconta la sua lunga attività di decoratore Antonio parla spesso di Carlo Antonio Grue (1655-1723), uno dei suoi punti di riferimento, e di Gesualdo Fuina (1755-1822), l’inventore del vero “fioraccio” castellano, fatto al “terzo fuoco” con il rosso porpora. Realizza tutti i tipi di decori, dal paesaggio classico alle scene pastorali e mitologiche, fino alle rappresentazioni di stile popolare, come i piatti e i boccali con i galli e i bordi a stampo o spugnetta.
Dopo la prima cottura, quando l’oggetto in terracotta viene immerso nel bagno di smalto e asciugato, inizia il paziente intervento a pennello, che può occupare anche intere giornate per realizzare un solo pezzo; al termine, una seconda cottura ne fissa i colori, trasformandoli in materia vetrosa. Dosare questo transito cromatico e la trasformazione chimica che ne è alla base è una competenza essenziale di ogni decoratore: “si deve immaginare come possa uscire il pezzo dopo la cottura, perché i colori cambiano, ci vuole l’immaginazione e ci vuole l’esperienza”, afferma Antonio Di Simone.
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L’arte del decoro
Castelli (TE), 28 maggio 2018.
Riprese di Stefano Saverioni,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
Le ceramiche di Castelli sono presenti nelle raccolte di alcuni fra i più importanti musei del mondo, come il Metropolitan di New York, gli Uffizi di Firenze, il San Martino di Napoli, l’Hermitage di San Pietroburgo, e compongono importanti collezioni museali regionali come la Collezione Paparella Treccia Devlet di Pescara, o la Collezione Acerbo di Loreto Aprutino (PE). Per promuovere la cultura e l’arte della maiolica castellana, garantire la conservazione e l’esposizione delle opere che testimoniano l’evoluzione delle produzioni ceramiche nei secoli, nel 1984 è stato istituito a Castelli il Museo delle Ceramiche, all’interno dell’antico convento francescano dell’ordine dei Minori Osservanti, risalente alla metà del Cinquecento.
Consapevole della sua storia artigiana e artistica, la comunità di Castelli con i suoi amministratori promosse già dai primi del Novecento – dopo alcuni tentativi nel secolo precedente – l’istituzione di una scuola finalizzata a sostenere la rinascita della ceramica castellana in seguito alla crisi della maiolica italiana del periodo rinascimentale e barocco che investì il paese nel corso dell’Ottocento. Fu così che nel 1906 fu istituita la “Scuola d’arte applicata alla Ceramica”, che divenne Istituto Statale d’Arte per la Ceramica “Francesco Grue” nel 1961, quindi Liceo Artistico nel 2009. La scuola accoglie, in un’ottica globale di valorizzazione della ceramica, anche una “Raccolta Internazionale d’Arte Ceramica Contemporanea”, creata a partire dal 1986 con l’obiettivo di documentare la ricerca artistica mondiale nel campo della ceramica, e il “Presepe monumentale” realizzato tra il 1965 e il 1975 dai professori-artisti Serafino Mattucci, Gianfranco Trucchia e Roberto Bentini assieme agli alunni.
Sin dalle origini la scuola alimentò il proliferare di nuove botteghe artigiane e i primi tentativi industriali; il cosiddetto “decennio nero” fra il 1955 e il 1965, segnato dall’emigrazione, dallo spopolamento del paese e dalla conseguente chiusura di molte attività artigiane, è stato in seguito superato, almeno in parte, dalla nascita del Centro Ceramico Castellano, un consorzio di artigiani ed enti pubblici che ha dato nuovo impulso alle produzioni anche attraverso la creazione del Villaggio Artigiano, poco fuori dal paese, e la realizzazione di capannoni e fabbriche di significative dimensioni.
L’amministrazione comunale, già dal 1965, ha ideato un’iniziativa estiva per promuovere l’arte ceramica castellana, “Agosto a Castelli”, e, con essa, una “Mostra Mercato della Ceramica” nel centro storico del paese. Negli ultimi anni si è affermata una nuova proposta promozionale, il “Festival della Storia dell’Arte”, con l’obiettivo di sostenere anche la valorizzazione della storia e della produzione ceramica del paese, unitamente alla costante organizzazione di mostre tematiche, di pubblicazione di cataloghi, volumi e ricerche di carattere specialistico.
Una ulteriore crisi delle vendite, che ha coinvolto soprattutto le fabbriche di maggiori dimensioni, ha condizionato gli ultimi decenni, aggravati dalla lunga sequenza sismica che dal 2009 ha colpito l’Italia Centrale e ha reso inagibile gran parte del centro storico, fino ai recenti terremoti del 2016 e del 2017.
Aziende familiari come quelle di Vincenzo e Antonio Di Simone, che hanno creduto nell’artigianato domestico, nella piccola dimensione del lavoro e nella manualità dei processi tradizionali, riproponendo il contesto ambientale dell’antica bottega dopo una virtuosa ristrutturazione, non hanno conosciuto una effettiva crisi produttiva. Per i Di Simone la vera crisi è stata non credere in un percorso di salvaguardia autentica del centro storico, delle sue antiche botteghe, delle esperienze familiari plurisecolari, delle tecnologie antiche tramandate da secoli, che avrebbero potuto fare la fortuna del paese e preservare l’identità dell’artigianato di tradizione.
Tuttavia, in paese esistono e operano tuttora numerosi abilissimi decoratori, in grado di realizzare i vari tipi di decori della secolare storia ceramica castellana, dai più complessi ai più semplici, di fattura popolare. Da questo punto di vista la trasmissione dei saperi relativi alle tecniche decorative appare, tutto sommato, ancora ben salda.