Il ballo del palo intrecciato a Penna...
- L’onda del manticeLa pratica del “ddu bottë” a Penna Sant’Andrea
A Penna Sant’Andrea si suona sempre, e suonano quasi tutti. Nelle feste pubbliche o negli itinerari domestici, per i matrimoni e i canti di questua, per i colorati intrecci del “laccio d’amore” o le serenate estive, le serate conviviali e i pomeriggi invernali, davanti al camino, l’organetto è pronto per essere imbracciato e messo in funzione, dai bambini e dai più giovani, dagli adulti o dagli anziani, in forma solista o accompagnato da altri strumenti. Virtuosi esecutori e interpreti, i suonatori del paese se ne trasmettono le tecniche e le particolari melodie, elaborate in una pratica condivisa e costantemente esercitata.
“Come ho imparato non lo so nemmeno io. Non sono andato da nessuno, ho sentito, per conto mio, mi veniva in mente qualche suonata, cominciai a conoscere lo strumento, la tastiera, che significava. E allora ha cominciato a entrare in testa, ho cominciato a suonare, piano piano…la suonata te la devi mettere nel cervello, poi la fai”.
Basilio D’Amico, 6 marzo 2004
L’organetto a due bassi, noto in area abruzzese con il nome di ddu bbottë, è uno strumento meccanico della famiglia organologica degli aerofoni, che produce il suono tramite la compressione dell’aria generata da un mantice, detto anche soffietto. L’alimentazione dell’aria è garantita dal movimento delle braccia, un’azione necessaria a imprimere anche l’andamento ritmico alle suonate eseguite, in modo più o meno complesso e raffinato. Si può dire quindi che il mantice dell’organetto, leggero e versatile, sia l’anima dinamica dello strumento, e la gestione del suo completo potenziale ciò che differenzia, in particolare, suonatori di vecchia e nuova generazione.
Strumento contadino dell’era industriale – come è stato definito dall’etnomusicologo Francesco Giannattasio –, l’organetto ha preso rapidamente il posto di strumenti più antichi ma di più complicata gestione, come il violino, il calascione, la zampogna, animando le feste sull’aia ma entrando anche a far parte di un circuito competitivo di gare e scuole, in una continua evoluzione di tecniche esecutive e di stili.
Fra i principali interpreti di questo progressivo perfezionamento dello strumento – e del suo contemporaneo allontanamento dalle modalità espressive proprie della cultura contadina – è da ricordare il virtuoso suonatore teramano Fanciullo Rapacchietta (1915-2014), che a Penna Sant’Andrea ha insegnato a generazioni di giovani allievi negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, quando si ravvisava un abbandono della pratica generalizzata dell’organetto. Fanciullo Rapacchietta ha inoltre accompagnato il gruppo del “Laccio d’amore” per molti anni, imprimendo il suo particolare stile anche alle suonate della storica formazione di danza.
In una dimensione piuttosto diversa si colloca invece Basilio D’Amico (1919-2012), un apprezzato suonatore autodidatta, figlio di contadini della frazione Pilone di Penna Sant’Andrea, che ha coltivato la sua passione per lo strumento fin dall’infanzia, suonando per più di mezzo secolo dovunque fosse possibile: per le serenate e i matrimoni, nelle feste paesane, alle serate di ballo nelle aie delle case di campagna e, come Rapacchietta, per le esibizioni del gruppo folkloristico del “Laccio d’amore”. Basilio D’Amico era dotato di un repertorio vastissimo, attinto dalle più svariate fonti: l’ascolto diretto dei suonatori incontrati nelle feste, la tradizione orale del canto, le musiche per fisarmonica, le canzoni della musica leggera, l’opera e la musica classica, adattate alle limitate possibilità offerte dall’organetto con sorprendente maestria.
Se Rapacchietta correva sulla tastiera in modo lineare, Basilio D’Amico conosceva invece le tensioni e i rilassamenti, e un’espressività intensa e calibrata fondata sull’uso sapiente della tecnica incrociata: una modalità esecutiva tutta poggiata sulle continue inversioni di mantice e sull’uso di impercettibili sottoritmi, che conferivano alle sue suonate una raffinatezza dinamica particolarmente apprezzata in contesti in cui la pratica dello strumento era indissociabile da quella del ballo.
- Basilio D’Amico e Aristide Di Filippo alla gara dell’organetto di Basciano.
Foto d’epoca,
Basciano (TE), anni Settanta, XX secolo,
Archivio Basilio D’Amico.Alla gara di BascianoL’onda del mantice - Basilio D’Amico nella sua casa durante l’esecuzione di una suonata.
Foto di Gianfranco Spitilli,
Pilone di Penna Sant’Andrea (TE), 15 ottobre 2005,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi.Basilio D’AmicoL’onda del mantice - Un articolo del 1982 dedicato alla lunga trasferta di Fanciullo Rapacchietta negli Stati Uniti; nella foto si vede il maestro con uno dei suoi allievi dell’epoca, il giovane pennese Domenico Di Teodoro.
Foto di Gianfranco Spitilli,
Teramo, 20 agosto 2001,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi.Fanciullo negli U.S.A.L’onda del mantice - Fanciullo Rapacchietta con il suo allievo Domenico Di Teodoro, di Penna Sant’Andrea.
Foto di Gianfranco Spitilli,
Teramo, 20 agosto 2001,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi.Fanciullo e DomenicoL’onda del mantice - Rocco Di Francesco mentre esegue una suonata.
Foto di Gianfranco Spitilli,
Penna Sant’Andrea (TE), 2 luglio 2001,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi.Rocco Di FrancescoL’onda del mantice
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Polka delle poiane
Basilio D’Amico esegue una delle sue suonate, la “Polka delle poiane”, davanti al camino della sua abitazione (estratto dal documentario “Basilio D’Amico” di Marco Chiarini e Gianfranco Spitilli).
Pilone di Penna Sant’Andrea (TE), 15 ottobre 2005.
Riprese di Marco Chiarini,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
Nel paese di Penna Sant’Andrea la capillare diffusione odierna dello strumento è testimonianza della duplice ricchezza di stili, di scuole e di pratica di cui la comunità è erede. L’elemento più propriamente legato all’espressività contadina è stato tuttavia marginalizzato rispetto alle forme competitive, affermatesi a partire dagli anni Settanta del Novecento, e solo recentemente una rinnovata attenzione ha portato a tentativi di un suo parziale recupero.
Il fenomeno di trasformazione, in atto da almeno un quarantennio, ha riguardato dunque in particolare i suonatori formatisi in questo arco di tempo, alle scuole di maestri come Fanciullo Rapacchietta e dei suoi immediati successori e allievi, e ha determinato da un lato una grande affermazione dello strumento e un perfezionamento virtuosistico delle tecniche esecutive, dall’altro un irrigidimento dei repertori e degli stili, standardizzatisi in pochi brani di grande circolazione, ricalcati sui modelli performativi forniti dai maestri.
L’influenza di Rapacchietta nei decenni è stata senz’altro maggiore; ha insegnato l’organetto a due bassi a decine di giovani pennesi, alcuni dei quali sono diventati a loro volta eccellenti e rinomati suonatori elaborando stili personali e nuove suonate, veri e propri maestri dello strumento e punti di riferimento per le generazioni successive attraverso corsi e lezioni.
Basilio D’Amico, dalla personalità più riservata e meno propenso a insegnare, se non in forma imitativa e a poche persone motivate a frequentarlo presso la sua abitazione, è stato al contrario oggetto di un diffuso interesse da parte di ricercatori, antropologi ed etnomusicologi – come Giuseppe M. Gala, Carlo Di Silvestre, Gianfranco Spitilli, Marco Chiarini –, che nel corso dei decenni lo hanno più volte incontrato, registrando il suo vasto e originale repertorio. La sua attività musicale è stata studiata e documentata fin dalla metà degli anni Ottanta ed è oggi parte di raccolte discografiche, presente anche in numerosi video e in un documentario a lui dedicato. Negli ultimi anni di vita ha anche preso parte alla festa della musica tradizionale “Valfino al Canto” di Arsita, animando intere serate a ballo con la musica del suo organetto.
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