Il lessico dei ramai di Tossicia
- Un metallo “stirato”La lavorazione del rame a Tossicia
Dall’alba al tramonto, con cadenza delicata e incessante, il battito sonoro dei ramai si propagava nelle campagne di Tossicia, fra Chiarino, Palozza e Paduli, popolando la valle di colpi e rintocchi metallici. Era un suono familiare e rassicurante, parte integrante del paesaggio e della vita sociale; via Batterame e via Calderai sono i segni ancora tangibili lasciati da questa secolare pratica artigiana, in piccoli borghi rurali dove le botteghe del rame e quanto gravitava attorno ad esse costituivano il cardine quotidiano di riconoscimento delle comunità.
“Con l’operazione finale di ribattitura la conca diventa ancora più solida, mentre viene rifinita e decorata nel suo aspetto. Achille Urbani, il più anziano dei ramai di Tossicia, vi imprime i simboli di un repertorio tramandato nel tempo; ogni bottega e ogni artigiano ha i propri segni di riconoscimento, segni di una geometria classica e riferimenti al mondo naturale”.
Giuliano Di Gaetano, 1990
Nella zona di Tossicia, antica capitale della Valle Siciliana, esistevano nel secondo dopoguerra più di quaranta botteghe di lavorazione del rame, distribuite in particolare nella frazione di Chiarino e nell’immediato circondario, dove operava fin dal XIX secolo un’officina di fusione del rame curata dai fratelli Marconi, poi soppiantata dalla ramiera di Villa Tordinia, vicino Teramo, a partire dal 1857.
La pratica ha origini molto antiche nell’area dell’Italia centrale, e l’impiego del rame ha corrisposto per millenni alle necessità di una cultura fondata sull’agricoltura e l’allevamento, per la realizzazione di recipienti adatti non solo al contenimento e al trasporto ma anche alla cottura dei cibi, grazie alla sua conduttività al calore. Questo utilizzo ha di riflesso condizionato e trasformato anche la cultura alimentare, portando alla produzione di molteplici varietà di contenitori e utensili, adatti ai più diversificati scopi.
La conca antropomorfa abruzzese studiata da Paolo Toschi e Giuseppe Profeta, tra i più noti recipienti realizzati tramite lo stiramento e la battitura del rame, a struttura biconica e a strozzatura alta e accentuata, dotata di ampi manici, era ad esempio utilizzata per il trasporto e la conservazione dell’acqua di uso domestico, prima che la distribuzione idrica raggiungesse capillarmente le case a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
A partire dalla lamina e dal semilavorato ottenuto dalle ramiere tramite strumentazioni meccaniche azionate ad acqua (differenti tipologie di magli di battitura) e forni di fusione, oggetti preziosi e indispensabili come la conca, dotati di straordinario bilanciamento – funzionale all’uso che se ne faceva –, di elegante ed essenziale fattura anche da un punto di vista estetico e decorativo, erano realizzati attraverso una ripetitiva successione di lavorazioni interdipendenti, trasmesse nelle famiglie dei ramai di Chiarino e di Tossicia fino a pochi decenni fa. Fausto e Domenico Vignoli, Aldo Tudini, Angiolino Di Girolamo, Achille Urbani, tutti residenti a Chiarino o nella contigua Palozza, battevano il rame incessantemente, con martelli in legno di fico o in acciaio lucido, aiutandosi con due diversi cavalletti in legno, uno con piastra metallica e un secondo dotato di incudine a colonna.
Il metallo veniva effettivamente allungato e assottigliato, finemente modellato in base alle necessità e agli scopi dell’oggetto creato. La conca nasceva così attraverso il restringimento del vaso grezzo, ottenuto mediante vari passaggi di battitura a martello, la pulitura con acido solforico diluito, la bordatura con chiodatura di una fascia di rinforzo, l’applicazione dei manici, la ribattitura necessaria a conferire robustezza all’oggetto e ad abbellirla con particolari ornamenti stilizzati, la stagnatura interna, la lucidatura con retine di lana di ferro bagnate, infine il lavaggio e l’asciugatura, a conclusione di un processo di estrema perizia e sapienza artigiana.
L’attività dei ramai o calderai era in passato anche itinerante: esportavano oggetti e manodopera, frequentavano fiere e mercati, si spostavano per effettuare riparazioni e stagnature in una vasta area dell’Italia centro-meridionale, verso il Molise, il Lazio e le Marche.
- Il ramaio Achille Urbani al lavoro nel suo laboratorio.
Foto di Giuliano Di Gaetano,
Palozza (TE), 1987,
Archivio Museo di Tossicia.Achille UrbaniUn metallo “stirato” - Aldo Tudini in una fase di modellatura della conca.
Foto di Giuliano Di Gaetano,
Palozza (TE), 1987,
Archivio Museo di Tossicia.ModellaturaUn metallo “stirato” - Fase di ribattitura e decorazione di una conca ad opera del ramaio Angolino Di Girolamo.
Foto di Giuliano Di Gaetano,
Chiarino (TE), 1987,
Archivio Museo di Tossicia.Ribattitura e decorazioneUn metallo “stirato” - Fausto Vignoli al lavoro nella sua bottega nella fase di forgiatura a caldo del rame.
Foto di Giuliano Di Gaetano,
Palozza (TE), 1987,
Archivio Museo di Tossicia.ForgiaturaUn metallo “stirato” - Domenico Vignoli smeriglia il suo martello durante la fase di ribattitura.
Foto di Giuliano Di Gaetano,
Palozza (TE), 1987,
Archivio Museo di Tossicia.SmerigliaturaUn metallo “stirato”
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Chiodi e chiodatura
Fase di realizzazione dei chiodi in lamina di rame e di chiodatura dei manici della conca ad opera di Fausto Vignoli.
(estratto dal documentario “I ramai di Tossicia” di Giuliano Di Gaetano).
Palozza (TE), 1990.
Riprese di Ali Reza Movahed,
Archivio Museo di Tossicia.
(estratto dal documentario “I ramai di Tossicia” di Giuliano Di Gaetano).
Palozza (TE), 1990.
Riprese di Ali Reza Movahed,
Archivio Museo di Tossicia.
Trasmissione e salvaguardia
La lavorazione del rame con i metodi tradizionalmente usati nell’area di Tossicia è da considerarsi attualmente quasi del tutto estinta. L’unico artigiano che negli ultimi decenni ha ancora praticato una parte delle fasi di lavorazione è Goffredo Di Giovanni, oggi molto anziano, operante in una piccola bottega al centro del paese. La costituzione del Museo di Tossicia nel 1986 e le successive tappe di allestimento della sede presso il Palazzo Marchesale hanno rappresentato, soprattutto nella prima fase, il tentativo di documentare gli ultimi ramai ancora attivi della vecchia generazione, discendenti di famiglie dedite da secoli all’esercizio della professione, auspicando la continuità almeno parziale dell’antica arte.
Il direttore dell’epoca, Giuliano Di Gaetano, ha svolto in proposito numerose e accurate ricerche etnografiche, raccogliendo testimonianze da tutti gli artigiani ancora attivi e dai fonditori della ramiera di Villa Tordinia, una complessa struttura posta lungo l’argine del fiume Tordino, opera mirabile di ingegneria industriale ottocentesca che ha rifornito i ramai di Tossicia di semilavorati fino alla sua chiusura, avvenuta alla fine degli anni Ottanta del Novecento. Il Museo ha dedicato al rame un’intera sezione, promuovendo iniziative di valorizzazione e pubblicazioni, fra le quali sono da ricordare il catalogo – con un ampio capitolo dedicato al rame – e un documentario dal titolo I ramai di Tossicia, per la regia dello stesso Di Gaetano e prodotto nel 1990, in cui ampio spazio è destinato proprio all’attività di fusione del rame nella ramiera di Villa Tordinia, ancora in funzione quando furono effettuate le riprese. Il Museo ha operato anche una catalogazione su tracciato ministeriale degli oggetti e dei materiali documentali raccolti nel corso delle ricerche, le cui schede di riferimento sono conservate presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma.
Ulteriori iniziative di valorizzazione e ricerca, anche di carattere progettuale, sono state portate avanti dall’antropologa Annunziata Taraschi, per molti anni collaboratrice dello stesso Museo. Fin dalla sua costituzione nel 1976 la Comunità Montana del Gran Sasso, successivamente soppressa nel 2013, ha tentato di portare attenzione sull’importanza di una continuazione della pratica promuovendo il documentario del 1990, dedicando alla lavorazione del rame attività promozionali e l’inserimento di alcuni materiali digitali presso il Centro Documentale istituito nella propria sede e in parte consultabile online.
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