Lavorazione del pecorino a Campotosto
- L’arte del telaioLa tessitura a mano a Campotosto
Il tempo della tessitura a mano non è finito sulle montagne dell’Appennino Centrale. A Campotosto, paese adagiato nell’Alta Valle dell’Aterno sulle sponde dell’omonimo lago, Assunta Perilli, animata da una tenace passione, ha appreso l’arte del telaio dalle anziane tessitrici del posto prima che la trasmissione orale dei saperi fosse del tutto interrotta. Attingendo alla fonte di questa antica pratica ne ha recuperato i significati e le tecniche, aprendosi anche a nuove sperimentazioni. Come un ancoraggio permanente fra le macerie del sisma, in un panorama segnato profondamente dalle scosse, il suono cadenzato del telaio l’accompagna nelle sue giornate di lavoro, assieme ai gesti e alle conoscenze che lo materializzano quotidianamente, rendendolo vivo e attuale.
“Visto il telaio, il desiderio di rimetterlo in funzione è stato immediato…un colpo di fulmine che poi non è finito e si è trasformato in un grande amore. È un amore che si rinnova sempre, ogni volta che decidi di fare una tela; io penso che me lo hanno trasmesso queste “nonne”, perché dalla tradizione orale ho preso tutta quest’arte, però pure tutto il loro “modus vivendi”, ho fatto tutta una mescolanza che a un certo punto io avevo novant’anni come loro”.
Assunta Perilli, 27 luglio 2018
Nelle aree interne dei Monti della Laga, nei centri abitati fra i più elevati dell’Appennino Centrale, l’autoproduzione domestica era essenziale alla sopravvivenza. A Campotosto, a 1.420 metri di altitudine, la tessitura al telaio e le filiere produttive connesse alla lavorazione delle fibre vegetali e animali, dal lino, alla canapa, alla lana, costituivano un articolato processo nel quale confluivano saperi e pratiche di eredità millenaria.
Dal campo al pascolo, dalla raccolta alla tosatura, dalle complesse procedure di macerazione, essiccazione, separazione delle fibre dalla parte legnosa, alla pettinatura del lino e della canapa, alla cardatura della lana fino alla filatura autunnale e alla tintura naturale, la produzione delle fibre tessili giungeva al telaio, una struttura meccanica rudimentale ma ingegnosa sulla quale le trame dei fili trovavano il loro definitivo assetto e compimento. Vestiti, coperte, fodere, lenzuola, tovaglie, asciugamani e ogni altro genere di tessuto prendeva forma grazie all’opera paziente delle tessitrici, con decori e motivi iconografici che corrispondevano al gusto, alle funzioni e alle materie prime disponibili per la scelta dei colori e degli accostamenti.
Nella bottega artigiana di Assunta Perilli, tutte queste filiere produttive trovano oggi compimento, grazie a una rete di collaborazioni costruita negli anni fra agricoltori, allevatori, cardatori, filatori e tessitori delle aree montane del Gran Sasso e della Laga. Alla fonte di questo percorso ormai decennale è l’incontro di Assunta con il telaio e con una genealogia di pratiche e di saperi prettamente femminili, all’epoca silente e inattiva ma non interrotta dalla sua volontà di renderla nuovamente vitale, come un sottile filo resistente al tempo, alla perdita apparente delle ragioni che ne erano alla base.
Ritrovato in un fondaco di casa, l’antico telaio in legno della nonna Assunta Onofri tornò così a “battere” e “ribattere” nelle sue mani dopo un abbandono di alcuni decenni. Complici di questa opera di recupero furono le anziane tessitrici del paese ancora in vita, di cui Assunta guadagnò progressivamente la fiducia dopo un primo tentativo di scoraggiamento al ripristino di un’attività di cui non avvertivano più il senso. Maria Dea Vertolli detta “Idea” e Domenica Quintiliani detta “Mechina” divennero così le sue maestre e alleate, attuando le modalità proprie di una trasmissione orale che passa da tentativi e fallimenti, imitazione e adattamento, ascolto e sperimentazione.
Quel telaio è oggi in piena attività, nel cuore della bottega di Assunta Perilli. Monumento vivente di storia e di cultura, produce tessuti di differente complessità, a due, tre, quattro licci e corrispondenti pedali (“mordacchie”), con il suo sonoro movimento ritmico e lo scorrere orizzontale della spola (“trua”). Un’opera costante, quotidiana ed essenziale, di antica eredità, al centro di un mondo che sembra dissolversi sotto i colpi delle demolizioni; guida consapevole e orgogliosa di un possibile percorso di ricostruzione non soltanto materiale.
- Laurina Antonacci, contadina di Campotosto depositaria degli antichi semi di lino.
Foto d’epoca,
Campotosto (AQ), 1930 ca.,
Archivio Assunta Perilli.Laurina AntonacciL’arte del telaio - Una pianta di lino coltivata da Assunta Perilli.
Foto di Stefano Saverioni,
Campotosto (AQ), 27 luglio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.LinoL’arte del telaio - Primo piano dei licci durante la lavorazione al telaio.
Foto di Stefano Saverioni,
Campotosto (AQ), 27 luglio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.I licciL’arte del telaio - Assunta Perilli mentre lavora al telaio all’interno della sua bottega.
Foto di Stefano Saverioni,
Campotosto (AQ), 27 luglio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.In bottegaL’arte del telaio - Tessuto rigato realizzato a “trelicci”, molto utilizzato a Campotosto per le fodere dei materassi, le prime coperte e i sacchi del grano.
Foto di Stefano Saverioni,
Campotosto (AQ), 27 luglio 2018,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.Tessuto tradizionaleL’arte del telaio
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La tessitura
Assunta Perilli durante la tessitura al telaio.
Campotosto (AQ), 27 luglio 2018.
Riprese di Stefano Saverioni,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Campotosto (AQ), 27 luglio 2018.
Riprese di Stefano Saverioni,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
Il complesso lavoro di recupero di Assunta Perilli si è mosso a partire dall’uso del telaio per abbracciare ogni aspetto della pratica tessile e delle attività ad essa correlate, in una scoperta continua che non si è mai arrestata ed è tuttora in corso.
Il ripristino del telaio di famiglia ha comportato l’acquisizione di una specifica competenza relativa alle sue componenti, che si è concretizzata in una mobilitazione sul territorio finalizzata al restauro e al reperimento delle parti usurate o non più funzionanti, come i delicati pettini, procurati a Montorio al Vomano (TE) presso uno degli ultimi artigiani in grado di realizzarli. La frequentazione dei pochissimi cardalana di Pietracamela (TE) ancora in grado di lavorare, o il coinvolgimento delle anziane a filare le fibre o a riscoprire i decori della tradizione locale presenti nei tessuti e negli abiti conservati nelle case e le loro diversificate funzioni, ha vivificato una trasmissione di conoscenze che fino ad allora si era arrestata.
Nell’ambito di queste azioni di recupero, particolarmente significativa appare la ricostituzione della filiera del lino attraverso il riuso di antichi semi, custoditi da un’anziana di Campotosto, Laurina Antonacci, donati ad Assunta da sua nipote e ripiantati con l’aiuto delle maestre di tessitura. È stato così possibile riproporre la lavorazione della fibra tessile del lino a partire dalla coltivazione di semi secolari, che l’anziana contadina aveva provveduto ogni anno a ripiantare nonostante il loro uso finalizzato alla tessitura fosse stato da tempo abbandonato; un’iniziativa che ha suscitato anche l’interesse dell’Università di Cambridge e l’inserimento del lino di Campotosto in un progetto sperimentale a carattere internazionale.
La trasmissione di quest’arte a Campotosto è dunque il frutto di tante volontà individuali, che hanno trovato una loro intima connessione quando Assunta ha iniziato a percorrere il suo instancabile tragitto di riscoperta, anche grazie all’aiuto delle numerose allieve che nel tempo si sono avvicinate alla tessitura frequentando la sua bottega e i corsi che ha cominciato a tenere sul posto o invitata in rassegne e iniziative tematiche. “La fonte della tessitura” – il nome che contrassegna la sua attività e il luogo dove è quotidianamente svolta – è diventata pertanto anche il centro propulsore di una nuova trasmissione della pratica, affinché la faticosa ricerca condotta per apprenderne i segreti possa trovare una adeguata successione, secondo una volontà da lei chiaramente e ripetutamente espressa.
Riconosciuta di recente “ambasciatrice nel mondo” del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga per la sua attività di tutela del patrimonio culturale dell’area protetta, Assunta Perilli, di formazione archeologa, collabora con la cattedra di Archeologia sperimentale dell’Università “La Sapienza” di Roma per lo sviluppo di un progetto archeologico e museale; negli ultimi anni ha inoltre avviato lavorazioni nuove, in sinergia con l’imprenditore e artigiano calzaturiero marchigiano Alberto Fasciani, per la produzione di scarpe in lino e canapa. Un’opera di salvaguardia che va oltre la materia tessuta e lo sguardo rivolto al passato, configurandosi come un’azione di resistenza culturale in un’area minacciata dalla perdita di punti di riferimento e di ancoraggio alla sua storia.
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