La canzone narrativa a Cesacastina
AFràttoli di Crognaleto il tempo è scandito dal risuonare ritmico e cadenzato di uno scalpello. È il “battito” che accompagna la lavorazione di camini e architravi, stipiti di porte e finestre, sculture e oggetti di uso quotidiano. Serafino Zilli ha ereditato dal padre e dal nonno l’arte di scalpellare la pietra arenaria dei Monti della Laga, attività un tempo diffusa in molti luoghi della montagna. Le sue giornate trascorrono nel laboratorio all’aperto davanti casa: “più colpi di quante stelle sono in cielo” occorrono per realizzare un camino.
“Per me è una musica, che tu ascolti, e lavori; non sono battiti forti, sono battiti da orefice, come l’orefice col martellino, i battiti sono più delle stelle, sono tanti, tanti colpi, perché devi girare intorno, la devi liberare questa figura, come disse Michelangelo…la figura sta dentro e tu la devi liberare”.
Serafino Zilli, 5 gennaio 2016
Era la primavera del 1973 quando Serafino Zilli, assieme a suo fratello Quinzio, fu sorpreso dall’allora parroco di Cerqueto Don Nicola Jobbi a improvvisare con poveri mezzi una piccola orchestra per accompagnare il proprio lavoro di muratori nella costruzione di un albergo: simulavano strumenti a fiato con le mani e il pettine, con una perizia che stupì il prete etnografo e quanti hanno in seguito potuto ascoltare quelle sorprendenti registrazioni.
Quell’estro musicale era il segno di una sensibilità artistica ereditata in famiglia, che ha fatto di Serafino e Quinzio Zilli abilissimi disegnatori e scalpellini, appassionati manipolatori della materia, suonatori e riparatori. “Con il disegno ci siamo nati, io e mio fratello Quinzio”, racconta Serafino; l’arte di scalpellare invece, l’hanno appresa entrambi dal padre Alberto, anch’egli figlio d’arte. La passione per il disegno lo ha accompagnato fin dall’infanzia; quando andava a scuola, da adolescente, restava sveglio fino a tardi a disegnare assieme al fratello forme e figure. Osservava immagini e opere nei libri che circolavano in famiglia, che oggi conserva gelosamente, come un volume appartenuto al nonno e poi trasmesso al padre: Li cinque ordini di architettura, di Giacomo Barozzi da Vignola, in una edizione del 1897 che continuamente consulta per trarne ancora ispirazione, costellato di disegni e tavole di decori in bassorilievo, basamenti, colonne, capitelli, fregi, rosoni.
Del nonno paterno Amedeo Zilli, capostipite della stirpe di scalpellini, custodisce anche l’antico scalpello, usato per lavorare a Roma i decori lapidei del Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, il cosiddetto “Palazzaccio”, e in Vaticano, quando andò a imparare da giovane dagli scalpellini napoletani l’arte di lavorare la pietra. Tornato a Fràttoli mise a frutto la sua maestria nella costruzione di case, edifici di culto, decorazioni. Nel 1897 scolpì nel suo paese una nicchia votiva in un solo blocco di pietra, dedicata a Sant’Antonio; poi diede forma alla monumentale finestra della sua abitazione, realizzata nello stile delle finestre del “Palazzaccio” come ricordo del lavoro svolto a Roma. Nel 1931 fu chiamato a ricostruire il campanile della chiesa di Padula, che edificò in blocchi di pietra scolpita assieme ai sette figli maschi, lavorando sul posto per circa due anni.
Il padre Alberto Zilli, erede diretto di Amedeo e principale maestro dello stesso Serafino, ha realizzato molte opere nella zona della Laga: numerosissimi camini, la fontana del pavone ad Alvi, le finestre della chiesa di Cesacastina. Suo figlio ha imparato l’arte osservandolo e sperimentando, tramite un apprendistato diretto.
Serafino Zilli scolpisce instancabilmente all’aperto, secondo una consolidata tradizione che impegnava gli scalpellini in botteghe ricavate sotto tettoie, ad esclusione dei mesi più freddi, quando a causa della temperatura la pietra diventava troppo difficile da lavorare. Realizza zuppiere, mortai, architravi, capitelli, colonne, volute, coppe con motivi geometrici, fitomorfi, zoomorfi, con scene della storia sacra o della storia antica, di cui conserva innumerevoli modelli, sagome, disegni, stampe, in raccolte da lui messe assieme o in libri che lo accompagnano quotidianamente nel suo lavoro di documentazione e sperimentazione realizzativa continua. È attratto da incisioni e pitture, dalle sculture antiche e rinascimentali, dai disegni architettonici, dalle forme delle foglie, dalle cornici e dai vari stili decorativi.
Descrive le lavorazioni più frequenti, la bucciardatura, a buccia d’arancia, la scanalatura con il punteruolo (lu puntarulë); mostra lo scalpello (lu scarapillë), di varie dimensioni e fatture: diamantato, per togliere materia, a tre punte, per incidere più linee di scavo, o più fino, per fare i cosiddetti capelli, le linee più sottili. Possiede diversi tipi di martello, dalla mazzola più corta a quella più voluminosa per le lavorazioni più pesanti, e poi le raspe, anch’esse di varie dimensioni, utilizzate per lavorare la tenera pietra della Majella, alla quale si dedica di tanto in tanto per realizzare diverse tipologie di oggetti e sculture con l’ausilio aggiuntivo di scalpelli da falegname, di fattura più delicata e adatti per la lavorazione di una pietra così “morbida”. La pietra serena invece, l’arenaria, “mangia” lo scalpello, lo consuma, e per renderlo nuovamente efficace è necessario di tanto in tanto farlo temperare dal fabbro.
Quando Serafino Zilli termina le sue opere si versa un bicchiere di vino e le osserva, pensando a quanti colpi ci sono voluti per realizzarle. Ne parla come creature che “partono” per le loro destinazioni, da cui è infine necessario separarsi.
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L’arte del disegno
Fase di realizzazione del disegno preparatorio di un rosone su pietra.
Fràttoli (TE), 5 gennaio 2016.
Riprese di Stefano Saverioni,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
La lavorazione della pietra arenaria nell’area dei Monti della Laga è ormai una pratica artigianale che impegna pochissime persone, e in una dimensione professionale spesso marginale e complementare ad altre occupazioni. Gli scalpellini, un tempo indispensabili per le principali attività di edilizia locale, non sono più richiesti se non per la realizzazione occasionale di manufatti decorativi finalizzati a impreziosire le abitazioni, come i camini scolpiti. Assieme a Serafino Zilli, che rappresenta la generazione più anziana, il lavoro di scalpellino è portato avanti anche da Paris Orsini di Rocca Santa Maria, discendente come Serafino di una famiglia di lavoratori della pietra e di costruttori.
Serafino Zilli ha partecipato negli anni a numerose iniziative promozionali sull’artigianato e il territorio organizzate dai vari enti locali; fra le più significative, il Simposio di Scultura in Pietra Arenaria di Tottea, promosso per alcuni anni dalla pro-loco del piccolo paese della Laga, incastonato nella roccia, che ha dato vita a un singolare percorso espositivo all’aperto, nelle piazzette e nelle stradine, popolate delle opere realizzate sul posto da scultori e scalpellini provenienti da ambiti nazionali e internazionali.
Ma un vero e proprio processo di trasmissione delle abilità e conoscenze di Serafino Zilli, maturate attraverso una lunga esperienza professionale e artistica, non ha mai effettivamente preso piede, né nell’ambito strettamente familiare né in un contesto più ampio di trasmissione intergenerazionale. Il fratello Quinzio, come lui, è oggi un eccellente scultore della pietra, ma non esercita la professione se non per realizzazioni domestiche destinate a decorare la propria abitazione e quelle dei parenti stretti.
Nel 2015 Serafino Zilli è stato protagonista di un primo cortometraggio centrato sulla dimensione sonora del lavoro di scalpellino, realizzato da Gianfranco Spitilli, mentre nel 2016, per iniziativa e su finanziamento del Co.re.com. Abruzzo nell’ambito di una serie dedicata al patrimonio immateriale regionale chiamata La memoria lunga, è stato realizzato un documentario breve per la regia di Stefano Saverioni, che mette a confronto, in un ideale dialogo a distanza proprio i due scalpellini Serafino Zilli e Paris Orsini; testimoni, entrambi, di un epocale passaggio generazionale, sociale e culturale nella pratica della lavorazione della pietra arenaria che rischia di condurre a una sua completa estinzione. I documentari hanno circolato in numerosi festival nazionali e internazionali, come il Bellaria Film Festival, portando all’attenzione di un vasto pubblico le vicende dei due scalpellini, la loro competenza, la passione che anima il loro quotidiano “pensare la pietra” come materia da plasmare innanzitutto attraverso l’immaginazione.
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