“Chi canta prega, e chi canta forte prega due volte”, dicono a Villa Petto, un piccolo paese adagiato sulle colline della Valle del Mavone. Nel giorno del Venerdì Santo, guidato dal cupo e solenne Requiem della banda musicale, un singolare corteo di donne percorre i vicoli e le piazzette del centro storico, la strada statale, i luoghi più periferici dell’abitato. È la processione del Cristo Morto, con le sue figure e i suoi apparati scenici. Le donne cantano a turno, con voce tesa, il dramma doloroso della Passione e della morte di Gesù; con posture ferme e orgogliose, trasmettono e incarnano pubblicamente, davanti a tutta la comunità, quel particolare e lacerante dolore delle donne che accompagnarono Cristo nel suo percorso terreno.
Glenda Suffer, 31 dicembre 2012
A Villa Petto le giovani donne del paese interpretano le figure della Passione di Cristo, cantando a turno e a voce solista le melodie processionali, dette localmente arie. Scandiscono parole che descrivono i patimenti del supplizio e narrano la sofferenza dell’attesa, la certezza della morte, il pentimento e la richiesta di perdono. Sono le Spade e le Piaghe, le Piangenti e le Giunte, e poi la Maddalena, la Veronica e Maria, la Madonna dalla melodia carica di sgomento e di dolore, la più ambita, la meta alla quale tutte le ragazze coinvolte nella processione cercano di arrivare; nella parte del Calvario il canto diventa polifonico e armonioso, trascinato da un alto con ingresso solista e l’appoggio di due bassi paralleli a intervallo di quarta, che conferiscono particolare densità al segmento conclusivo del corteo cantato.
Di impronta gesuitica, modellate a partire dalle processioni penitenziali cinquecentesche, dalla trasformazione delle stesse in cortei funebri di accompagnamento al corpo di Cristo, elaborate dalla pietà barocca, questo genere di processioni sono centrate sulla meditazione sceneggiata e incorporata della passione e della morte di Gesù. A Villa Petto la teatralità drammatica e l’espressione veemente del dolore, in apparenza istintuali e incontrollate, si modellano anche tramite la formazione e il controllo della voce, dei gesti e delle posture: la processione è stata un mezzo per definire il rapporto tra la femminilità legata ai saperi naturali e la struttura sociale, tra la costruzione dei ruoli familiari e l’educazione alla manifestazione delle emozioni attraverso il suono e il canto. Nelle settimane che precedono il Venerdì Santo, nel tempo di Quaresima, la piccola chiesa locale accoglie le prove della processione.
È una pratica al femminile, solo le donne vi partecipano, anche se in passato gli uomini aprivano il corteo con un coro possente, quello delle Sacre Spezie, che è ancora ricordato per il suo peso sonoro e per la drammaticità che conferiva al rituale. Si provano le voci e si definiscono i ruoli in base alle caratteristiche timbriche e alla qualità dell’interpretazione richiesta per ciascuna figura della sacra rappresentazione, in un cammino evolutivo che dalle Giunte porta alla Vergine. È un rito di passaggio che conduce le bambine, poi giovani donne, all’affermazione dei valori femminili cristiani e alla pienezza espressiva dell’età adulta.
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Il Calvario
Emanuela Di Gaetano (alto), Alessia Barnabei e Roberta De Rugeriis (bassi) interpretano il canto polivocale detto “Il Calvario” al rientro in chiesa.
Villa Petto (TE), 29 marzo 2013.
Riprese di Stefano Saverioni.
Trasmissione e salvaguardia
Le prove dei canti cominciano nel periodo quaresimale e coinvolgono donne dai cinque ai sessant’anni circa; insieme alla trasmissione diretta nell’ambito familiare, che si realizza attraverso un particolare apprendistato genealogico delle parti (da Veronica a Veronica, da Madonna a Madonna, e così via), le ripetizioni collettive guidate dalle più esperte costituiscono la forma principale di apprendimento dei repertori e delle tecniche del canto. Il codice rituale prescrive che alla processione partecipino solo ragazze non sposate: questa norma ha contribuito a favorire la trasmissione dei saperi legati al canto processionale della Passione, anche se in anni recenti la regola è stata occasionalmente interrotta a causa della crescente difficoltà a reperire persone in grado di interpretare i ruoli più complessi e importanti.
La processione, nel suo insieme, presenta elementi di disgregazione e impoverimento, come la scomparsa delle parti maschili, che contribuivano a rendere suggestivo il rituale; si assiste inoltre a una perdita dei significati vincolati alla struttura religiosa del cerimoniale, e a una semplificazione degli stili e delle tecniche di canto in corrispondenza di un rilevante sfaldamento del tessuto sociale intercorso negli ultimi decenni. A questo si aggiunge l’invasivo attraversamento del viadotto autostradale, che taglia in due il paese producendo un significativo inquinamento acustico anche durante la processione, paradossale per una comunità dedita alla cultura del canto e all’esercizio dell’ascolto. Tuttavia, grazie all’interessamento costante e alla passione di operatrici del posto, come Elena Cruciani, il canto continua a trasmettersi e a praticarsi come protagonista assoluto della scena rituale.
Negli ultimi anni si sono avviate documentazioni capillari dei repertori e delle tecniche ad opera di antropologi, etnomusicologi e documentaristi, sia in ambito domestico che processionale, con l’intenzione di sostenere la continuità intergenerazionale e l’intensificazione dell’apprendimento, recuperando parti non più eseguite o approfondendo le modalità esecutive più raffinate, in genere prerogativa delle donne più anziane. Sono stati a tal fine realizzati anche dei brevi documentari e sono in corso ricerche, sia sul campo che d’archivio, presso la comunità di Villa Petto e quelle contigue dove è attestata un’analoga forma rituale. Occasioni pubbliche e presentazioni anche al di fuori del paese hanno posto l’attenzione sul fenomeno stimolando anche la comunità locale.