La lavorazione dei fischietti a Castelli
Di casa in casa, fra contrade rurali e case sparse, le squadre di questuanti portano i loro canti devozionali all’imbrunire. Entrano nelle abitazioni, salutano chi li accoglie, narrano attraverso la musica le storie di Sant’Antonio abate, il potente protettore delle stalle e degli animali domestici, venerato dai contadini. Il fuoco del camino riscalda ogni incontro, vino e biscotti aiutano i girovaghi a proseguire i loro itinerari fino a notte fonda.
“È una tradizione antica che si è usata sempre in queste zone, si è tramandata da generazione in generazione, e a noi piace mantenere questa cosa; si parte e non si avvisano le case, andiamo là e ci trattengono con i bicchieri di vino, con gli uccelli di Sant’Antonio, in certe parti prendono pure il prosciutto, il pane fatto in casa e si gira per queste case, è tutta un’allegria”.
Gianfranco Ciotti, 16 gennaio 1996
L’uso rituale della questua cantata in onore di Sant’Antonio abate richiama alcuni elementi della sua biografia, trasmessa da Sant’Atanasio. Nato nel 251 a Koma, in Egitto, e morto a Quolzoum nel 356, il 17 gennaio, all’età di centocinque anni, Antonio conduceva una vita eremitica in luoghi isolati, nutrendosi grazie a offerte alimentari; la sua lotta contro i rumorosi demoni avveniva con l’aiuto del canto e della preghiera. Era inoltre considerato un potente taumaturgo, in grado di guarire da gravi malattie e di liberare dalla possessione diabolica.
L’ordine degli Antoniani fu ufficialmente fondato in Occidente nel 1297, ma l’attività di religiosi ispirati al santo egiziano era radicata già da tempo: i suoi seguaci erano specializzati nella cura dell’ergotismo e nel soccorso ai poveri, accolti in fondazioni e ospedali. Vivevano di questua e allevamento di maiali pubblici – nutriti dall’intera comunità –, per il mantenimento delle strutture e delle terapie a base di grasso di suino. Ammalati e maiali erano annunciati da campanelli, al pari dei suonatori che girano per la questua con un campanello, fissato alla sommità di un bastone. La squadra questuante odierna ripropone inoltre l’immagine del gruppo di eremiti al seguito del santo, o quello degli Antoniani in questua per raccogliere i beni da destinare ai poveri e agli ammalati. Il canto e la musica sono gli strumenti che conferiscono potenza al rituale: secondo le credenze locali purificano i luoghi dalle influenze negative, così come per Sant’Antonio abate erano gli strumenti per sconfiggere il Demonio.
A Befaro di Castelli, ai piedi del Monte Camicia, la questua rituale è particolarmente sentita, nella frazione, nelle contrade rurali e nelle case sparse del circondario. Gli itinerari domestici sono compiuti alla vigilia e nel giorno della festa, il 17 gennaio, per celebrare oltre al santo i rapporti di parentela e di vicinato, le amicizie, i legami e le alleanze sociali che formano il tessuto della comunità.
Dalle ricerche dell’etnomusicologo Marco Magistrali emerge un’ampia e radicata attestazione della pratica in tutta l’area dall’Alta Val Fino. La squadra di Befaro, in occasione degli itinerari domiciliari, esegue La buonasera, una storia cantata composta da ventiquattro quartine che narra la vita di Sant’Antonio abate, dalla nascita all’eremitaggio, dalle lotte contro il Demonio alla morte. Il canto fu assemblato e in parte composto da un vecchio sagrestano del luogo, Pietro Orsetti, che lo ha anche cantato nelle case per molti anni. L’organico strumentale della squadra di Befaro è composto in genere dall’organetto, dalla chitarra, dai piatti, da ’rancascë (grancassa) e tamurrë (tamburo), e ha legato assieme per decenni, in particolare, le famiglie Ciotti e Francia, la prima specializzata nel canto solista e nel ddu bottë, la seconda nell’uso e nella costruzione delle grandi percussioni che accompagnano il canto rituale nelle case.
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La questua e l’uscita
La squadra di Befaro durante la questua cantata presso un’abitazione di contadini; in chiusura lascia la casa eseguendo le strofe di saluto.
Befaro (TE), 16 gennaio 1996.
Riprese di Marco Magistrali,
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.
Befaro (TE), 16 gennaio 1996.
Riprese di Marco Magistrali,
Archivio Marco Magistrali e Associazione Altofino.
Trasmissione e salvaguardia
Le squadre di suonatori sono costituite da uomini e ognuna fa riferimento a un anziano, considerato l’anello di congiunzione con il passato anche se non è più in grado di compiere i giri augurali; è il punto di riferimento permanente per le scelte del testo e delle melodie. Alcune squadre conoscono diversi canti per l’occasione, ma più il gruppo è unito e maggiormente si riconosce in uno di essi in particolare. La storia dei testi e delle melodie è fatta di continue rielaborazioni: nel corso del Novecento sono stati introdotti o rimodellati diversi canti di questua, e La buonasera è uno di questi, a testimonianza della grande duttilità e capacità di adattamento della trasmissione orale, anche attraverso forme di redazione scritta che tornano in seguito a essere veicolate tramite l’oralità.
La questua a Befaro è ancora praticata, soprattutto dalla famiglia Ciotti, anche se in passato sono esistite fino a quattro squadre attive negli itinerari per le contrade; i repertori sono vivi anche grazie all’opera di valorizzazione e consolidamento compiuto nell’ultimo ventennio dall’Associazione Altofino e dalla correlata manifestazione estiva di Valfino al Canto, nella quale hanno spesso preso parte le stesse formazioni questuanti impegnate negli itinerari domestici durante la festa di Sant’Antonio abate.
Le ricerche intensive di Marco Magistrali, compiute in particolare nella seconda metà degli anni Novanta del Novecento ma costantemente aggiornate negli anni seguenti, hanno contribuito alla rivivificazione del fenomeno e hanno inoltre consentito di documentare e salvare dall’oblio repertori poi caduti in disuso e connessi alla devozione per Sant’Antonio abate, come le orazioni da cui derivano molte delle stesse storie cantate nelle questue.
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