“Intoniamo il batacchio alla campana, te lo farò vedere come si suona”. È l’inizio del vatocco cerquetano, un canto a due voci conosciuto a Cerqueto di Fano Adriano, un piccolo paese di pastori e cardatori della lana adagiato ai piedi del Gran Sasso d’Italia, sopra un declivio roccioso nel fianco meridionale dell’Alta Valle del Vomano. Carico di intensità espressiva e di dissonanze, eseguito con la voce tesa, quasi gridata, piena di oscillazioni come l’andamento delle due parti vocali, intrecciate in combinazioni complesse di ritmi e distanze, il canto è portatore di un messaggio d’amore avvolto da contenuti misteriosi, ispirati alle leggende, all’epica dei pastori, ai temi della canzone narrativa. Le voci giocano e si rincorrono, alla ricerca continua di un’intesa fragile e toccante.
Vincenza Di Profeta, 31 dicembre 1966
È un tipo di diafonia particolarmente suggestiva, eseguita a discanto, identificata nell’area del Gran Sasso come canto a vatocco o a batocco e diffusamente attestata nelle Marche e nell’Umbria, soprattutto nel versante adriatico dell’Appennino. Il nome evoca l’immagine del batacchio che percuote la campana, al quale corrisponde il particolare andamento del canto; si eseguiva a due voci quando si andava in campagna e poteva essere cantato occasionalmente anche in forma monodica, perdendo però così la sua caratteristica articolazione polivocale. Le versioni documentate nell’Alto Vomano costituiscono la testimonianza più meridionale di diffusione di questa originale forma espressiva cantata, trasmesse in due varianti melodiche dette aria alla narquatana (di Arquata del Tronto, nell’ascolano) e aria alla romana.
Il vatocco lo conoscevano i contadini e i pastori di Cerqueto, forse appreso negli spostamenti stagionali verso le Marche e l’Agro Romano, dove si recavano a cardare la lana, a commerciare bestiame, a pascolare le greggi durante l’inverno, o attraverso i matrimoni e la presenza in paese di donne di origini marchigiane già dalla seconda metà del XIX secolo. E lo praticavano alcune famiglie più di altre, esperte interpreti del canto, come la famiglia Zaccagnini e Di Matteo; sono le loro voci incrociate che possiamo oggi ascoltare nelle registrazioni del 1964 e del 1966 di Don Nicola Jobbi, Roberto Leydi e Diego Carpitella.
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Ricordo del “vatocco”
Isabella Di Matteo ricorda le zie che le insegnarono il canto, e ne accenna un verso.
Teramo, 28 aprile 2012.
Riprese di Gianfranco Spitilli,
Archivio Centro Studi Don Nicola Jobbi/Bambun.
Trasmissione e salvaguardia
Il canto è attualmente estinto, in entrambe le forme documentate negli anni Sessanta del Novecento. All’epoca, nell’area del Gran Sasso e della Laga, era noto solo nel paese di Cerqueto; oggi è ricordato a frammenti unicamente da alcune persone che tuttavia non sono in grado di eseguirlo se non in pochi versi e in forma strettamente monodica.
Il canto è stato documentato in due diverse “arie” (forme melodiche) da Don Nicola Jobbi nel 1964, e in seguito, solo nell’aria alla narquatana, da Roberto Leydi e Diego Carpitella nel 1966; i documenti sonori sono conservati presso il Fondo Leydi del Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona, e in copia presso il Fondo Jobbi del Centro Studi Don Nicola Jobbi di Teramo/Montorio al Vomano. Negli ultimi anni sono stati realizzati riversamenti, restauri, pubblicazioni e documentazioni ulteriori con una delle interpreti di allora, Isabella Di Matteo (1920-2018). Alcuni laboratori organizzati da antropologi ed etnomusicologi assieme alla comunità di Cerqueto e a una formazione di suonatori locali hanno tentato di riportare l’attenzione su questo genere di repertorio. Va segnalato fra gli altri il progetto Archivio Sonoro Abruzzo , che ha consentito la diffusione online di questi documenti sonori e il recupero delle immagini di Alberto Negrin del 1966.